Guglielmo VII
a cura di ALDO A. SETTIA
Scheda pubblicata in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. LX, Roma 2003.
La presente scheda è stata inserita grazie alla autorizzazione rilasciata dall’ISTITUTO DELLA ENCICLOPEDIA ITALIANA fondata da Giovanni Treccani [Prot. 495/04/DE del 19 novembre 2004] che si ringrazia per la disponibilità.
Nacque intorno al 1240 dal marchese di Monferrato Bonifacio II e da Margherita di Savoia, poco dopo la sorella Alasina, poi moglie di Alberto di Brunswick.
È leggendaria la notizia riferita da Matteo Paris che G., per la ribellione di suo padre a Federico II, sarebbe stato preso in ostaggio dagli Hohenstaufen nel 1250 per farne scambio con re Enzo allora prigioniero a Bologna.
Bonifacio, nel testamento redatto il 12 giugno 1253, nominava erede G. ponendolo sotto la tutela della madre, alla quale affiancava il conte di Savoia Tommaso, suo fratello, il delfino di Vienne, Giacomo Del Carretto, Giorgio ed Emanuele di Ceva e lo zio naturale Bastardino di Monferrato, affidando inoltre terre e vassalli alla protezione dei Comuni di Pavia e di Asti.
Il primo atto ufficiale, compiuto da G. il 12 giugno 1254, fu il rinnovo dei giuramento di fedeltà per i luoghi che i marchesi di Monferrato tenevano in feudo dal vescovo di Ivrea, atto che ripeté, non appena uscito di tutela, nel gennaio 1257.
Risentì dell’influenza sabauda il matrimonio concordato il 28 marzo 1258 con Isabella, figlia del conte Riccardo di Gloucester, un atto essenzialmente politico che legava G., insieme con i Savoia, alle aspirazioni imperiali allora perseguite da Riccardo d’Inghilterra. G. era ormai arbitro delle proprie decisioni quando, il 24 marzo 1260, concluse con il Comune di Asti un’alleanza contro il conte di Provenza Carlo d’Angiò intenzionato a estendere la sua egemonia in Piemonte. Per quanto appena ventenne G. doveva già aver dato sufficiente dimostrazione dì capacità e determinazione poiché il 27 settembre i fuorusciti alessandrini chiesero il suo aiuto per rientrare in città promettendogli il titolo ereditario di capitano e signore. Egli realizzò le loro aspettative e il 13 dicembre, a cose fatte, nominava podestà in Alessandria lo zio Bastardino assumendosi il compito di difendere il nuovo regime: era il suo primo esperimento di signoria cittadina, indice di un’aspirazione al comando che impegnò il resto della sua vita. Poco tempo dopo, però l’emissario in Lombardia di re Manfredi di Sicilia ripristinò la vecchia organizzazione federiciana e in essa Alessandria fu sottoposta al vicario regio ” a Papia superius “.
Il 31 luglio 1261 G. strinse con lui e con Oberto Pelavicino signore di Piacenza un’alleanza difensiva che fu sanzionata da un progetto matrimoniale tra Manfredino, figlio di Oberto, e Margherita, figlia di G., nata nel 1259. L’accordo finì però a suo danno poiché nella primavera 1262 Alessandria venne occupata a sorpresa dal vicario di Manfredi ristabilendo il regime precedente; G. venne estromesso e, a causa dei suoi legami con il Pelavicino, fu anche colpito da scomunica.
Per il momento egli non fu in condizioni di reagire e rivolse la sua attenzione ad altri obiettivi di minore impegno: il 1° maggio 1262 ottenne per dedìzione il dominio su Lanzo e il 24 nov. 1264 su Nizza Monferrato.
Nel frattempo assunse un atteggiamento sempre più favorevole a Carlo d’Angiò, alla Chiesa e ai loro piani di egemonia in Italia ai quali aderì formalmente nella primavera 1264 guadagnandosi così l’assoluzione dalla scomunica. Per tutta risposta il Pelavicino devastò in giugno, a più riprese, le terre di G., che reagì con grande prontezza e occupò con la forza Acqui, Tortona e Novi. Verso la fine dell’anno si recò in Provenza forse per concordare le modalità della prossima discesa di Carlo in Italia.
Secondo i patti, i Provenzali mandarono in suo soccorso forze sufficienti a consentirgli di sconfiggere nuovamente, nell’agosto 1265 presso Nizza Monferrato, il vicario del Pelavicino; nell’autunno seguente l’esercito angioino, diretto alla conquista del Regno di Sicilia, poté attraversare indenne le terre di Guglielmo. D’altro canto il 13 marzo 1266 egli raggiunse un accordo con Napoleone Della Torre che aveva allora il dominio di Milano, Novara e Vercelli: ciascuno dei due si impegnava ad assistere l’altro entro i limiti dei Po e della Dora Baltea e a non estendere le proprie conquiste oltre tali fiumi. Il 18 giugno 1266 G. trovò però il modo di sottomettere alla sua piena signoria Ivrea (benché questa si trovasse oltre la Dora), ma, venuto in conflitto col vescovo, l’anno dopo ne fu allontanato attirandosi inoltre una nuova scomunica dalla quale fu assolto solo all’inizio dei 1268. Ogni tentativo di rientrare a Ivrea fu inutile; G. riuscì, tuttavia, coi favore dei fuorusciti pavesi, a insignorirsi di Tortona dove nominò podestà, ancora una volta, lo zio Bastardino.
La crescente invadenza di Carlo d’Angiò, divenuto re di Sicilia, nell’Italia occidentale lo indusse, dal settembre 1270, ad aderire alla politica antiangioina rappresentata dal re dei Romani Alfonso X di Castiglia che, proclamandosi erede di Manfredi, manifestava la sua candidatura all’Impero con l’intenzione di attrarre a sé gli oppositori di Carlo. Nella primavera 1271 G. prese contatto a Viterbo, per conto dì Alfonso, con un gruppo di cardinali ostili all’Angiò, fra i quali aveva assunto un ruolo preminente Uberto di Cocconato, originario da località in parte soggetta a Guglielmo. In quello stesso tempo fu progettato il matrimonio fra G., rimasto vedovo, e Beatrice, figlia del re di Castiglia che, nel luglio di quell’anno, promise di mettergli a disposizione aiuti militari per il conseguimento dei loro comuni obiettivi. Nell’agosto G. si recò in Spagna, accompagnato da ambasciatori di Pavia.
Le nozze con Beatrice furono celebrate in ottobre a Murcia e in quella occasione si definì anche il matrimonio tra la figlia di G., Margherita, e l’infante di Castiglia, Giovanni. Il 10 novembre Alfonso nominò G. suo vicario per la Lombardia e in tale veste egli tornò in Italia nel gennaio 1272: si assumeva così un compito arduo nel quale, nonostante le promesse di Alfonso, non fu poi adeguatamente coadiuvato e dovette sostenere da solo l’offensiva che Carlo d’Angiò ben presto scatenò contro di lui.
Nella primavera 1272 il vicario angioino in Lombardia prese Acqui e in luglio G. perdette anche Tortona; nell’aprile seguente gli Alessandrini si impadronirono di San Salvatore Monferrato: solo in questo caso egli fu in grado di recuperare prontamente il luogo perduto.
In luglio strinse accordi con Pavia e Asti, rimaste antiangioine, formando una lega cui più tardi aderì anche Genova: così sarebbe stato possibile passare alla riscossa con l’aiuto delle forze promesse da Alfonso di Castiglia che però, premuto da problemi interni, rinunciò nel luglio 1273 alle ambizioni imperiali lasciando il posto alla candidatura di Rodolfo d’Asburgo. Nell’aprile 1274 sbarcarono finalmente a Genova alcune centinaia di soldati spagnoli seguiti mesi dopo da un più forte contingente; G. poté allora passare all’azione nonostante una nuova scomunica di Gregorio X. Nel giugno 1274 espugnò Occimiano, ma cambiamenti sensibili si ebbero solo l’anno dopo quando l’attività degli antiangioini indusse Carlo a trattare con Asti, Genova e poi con G. stesso. Non è certo che egli abbia partecipato alla battaglia di Roccavione dove il 10 novembre gli Angioini furono pesantemente sconfitti.
Il 28 ott. 1275 Trino Vercellese, antico dominio dei marchesi di Monferrato, si pose sotto la protezione di G. sottraendosi all’egemonia vercellese; nella primavera 1276 ebbe in suo potere la città di Torino, prima posseduta da Carlo; prendendone possesso egli urtava però la suscettibilità dei Savoia che se ne consideravano i legittimi signori. Nel maggio batté i Tortonesi e nei mesi seguenti fu sollecitato a intervenire nelle lotte interne di Alessandria, Pavia, Milano, Vercelli e Ivrea senza che ciò si traducesse, per il momento, in successi duraturi.
I positivi risultati della sconfitta angioina di Roccavione cominciarono a manifestarsi per G. nell’ottobre del 1277 allorché fu nominato difensore e tutore della Chiesa eporediese: è solo l’annuncio di quanto doveva verificarsi nel 1278, anno che fu per lui trionfale. Nella primavera venne a patti il Comune di Vercelli che lo accolse come signore e capitano di guerra per dieci anni; il 2 maggio anche il Comune di Alessandria si risolse a trattare per conferirgli la capitania della città (non ancora, come in precedenza, la signoria); G. vi fece il suo ingresso e venti giorni dopo ottenne poteri che gli consentivano di fatto di spadroneggiare a suo talento: fra le condizioni vi era anche il ritorno di Acqui sotto il suo dominio. Il 6 maggio fu eletto capitano per cinque anni a Tortona con l’obbligo di difendere, con il Comune, anche il vescovo e le terre dei vescovado.
Il 3 luglio fu la volta degli abitanti di Casale Monferrato che lo nominarono capitano per cinque anni avendo però cura di fissare in termini molto precisi i limiti della sua autorità. Anche il Comune di Ivrea, imitando quanto aveva già fatto il vescovo di quella città, si sottomise a G. il 23 luglio senza stabilire per lui compiti specifici né limitare la durata della sua peraltro blanda signoria. In quello stesso mese a Vercelli un gruppo di Comuni nominò G. suo capitano di guerra per cinque anni – fra essi erano Milano, Pavia, Vercelli, Novara, Asti, Alba, Alessandria, Tortona, Torino, Genova, i fuorusciti di Brescia, Lodi, Cremona, Corno, Verona e Mantova -: egli divenne così il capo militare di una lega imperiale opposta a un’altra lega filoangioina comprendente Piacenza, Cremona, Parma, Reggio, Modena, Bologna e Brescia. Il 31 di luglio, infine, G. fu investito della capitania di Pavia.
Di lì a Milano il passo fu breve: la città, dopo la vittoria di Desio (21 genn. 1277), era governata dall’arcivescovo Ottone Visconti, ma sempre a rischio di un possibile ritorno in forze dei Torriani insediati poco lontano, a Lodi e sulla linea dell’Adda. Il 16 ag. 1278 G. fu eletto capitano e due giorni dopo entrò in città. Intanto sin da maggio era stata avviata la pratica per ottenere da papa Niccolò III l’assoluzione dalla scomunica che fu cancellata fra agosto e settembre con l’obbligo per lui di schierarsi solo con l’imperatore riconosciuto dalla Chiesa. All’inizio di settembre G. dava inizio nel Lodigiano alle operazioni contro i Torriani ritirandosi però di fronte agli ingenti rinforzi loro pervenuti.
Fatto ritorno nel Marchesato, G. autorizzava il 20 nov. 1278 da Chivasso il concentramento degli abitanti destinati a costituire il nuovo villaggio di Borgo San Martino e stabiliva che i fossati difensivi fossero della stessa misura di quelli del vicino borgo di Occimiano lasciando così intendere che anche quest’ultimo era nato per suo interessamento, probabilmente dopo che il luogo, nel giugno 1274, era stato sottratto con la forza agli Alessandrini. L’ipotesi è confermata dallo stesso piano urbanistico a struttura regolare che caratterizza ancora oggi entrambi i centri, segno che G. volle imitare sulle sue terre il modello dei numerosi borghi a impianto preordinato fondati in precedenza dai Comuni di Vercelli e di Asti.
Pur senza aver ottenuto contro i Torriani i successi militari sperati (e forse proprio per questo) G. percepì che l’occasione era favorevole per aspirare alla signoria assoluta su Milano. L’accordo non fu facile: su invito del Visconti (che in ottobre a Gorgonzola era sfuggito a un attacco dei Torriani) rientrò in Milano il 4 dicembre con le sue truppe, e il 21 dicembre il Consiglio generale del Comune lo nominò signore assoluto per dieci anni con pieni poteri, a cominciare dal 1° genn. 1279. Per le necessità della difesa, oltre e per attendere all’ordinaria amministrazione del Comune, egli soggiornò in Miilano senza interruzione sino al luglio seguente, e fu in tale lasso di tempo che nacque il figlio Giovanni.
Nel gennaio del 1279, dopo aver combattuto, ancora con scarsa fortuna, i Torriani sull’Adda, offrì loro una tregua considerata dai Visconti troppo benevola, ma che comunque, dopo lunghe trattative, fallì: la ripresa della guerra vide nel luglio G. battuto e salvato solo per l’intervento di Ottone Visconti. Egli continuò, quanto signore, a occuparsi della politica intera dei Comune di Milano. Nel frattempo, scomparso il pericolo angioino e cresciuta a dismisura la potenza di G., risorgevano nei suoi confronti le diffidenze del Comune di Asti che cercò l’alleanza dei conte di Savoia.
Lasciato il governo di Milano a un vicario, in Novembre G. si trasferì ad Alessandria dove il 26 genn. 1280 si fece riconoscere come signore dal Consiglio del popolo. Nella stessa data Pietro Aragona, che preparava la conquista della Sicilia, gli scrisse chiedendogli di intercedere in suo favore presso il suocero Alfonso di Castiglia. Nel maggio, affidato il Marchesato a Tomaso di Saluzzo, si avviò verso la Spagna con la moglie e la figlia, a suo tempo promessa all’infante di Castiglia. Il viaggio si svolse regolarmente sino alla Provenza ma qui, mentre attraversava le terre dei vescovo di Valence e di Die, fu da costui catturato, per conto di Tommaso III Savoia, a Saint-Maurice de Rotherens.
L’8 giugno, appena la notizia giunse a Niccolò III, questi fece pressione sul vescovo per ottenere il rilascio di G.; poco dopo Filippo III Francia intervenne allo stesso scopo presso Tommaso di Savoia, ma per essere liberato G. dovette sottostare a tutte le condizioni che gli furono imposte: il 21 giugno promise la restituzione di Torino con la casa forte che vi aveva costruito, il ponte sul Po con le relative fortificazioni e i centri minori di Grugliasco e Collegno, dopo di che 30 cavalieri per ciascuna delle due parti avrebbero giurato la pace; 6000 lire dovettero essere depositate come pegno della rinuncia a ogni azione di vendetta contro il covo di Valence. Solo nella prima metà di agosto, quando i patti avevano già avuto esecuzione, G. fu liberato. Giunto, in ottobre, alla corte di Pietro di Aragona, animato dalla volontà di rivalersi per l’affronto subito, pianificò con lui una spartizione delle terre sabaude, ma il progetto non ebbe poi effetto pratico.
All’inizio del 1281 fu celebrato a Burgos il matrimonio di Margherita con Giovanni Castiglia e l’intervento di G. si rivelò decisivo nel determinare, nel febbraio seguente, l’auspicata adesione di Alfonso alla causa aragonese ottenendo per sé la promessa di nuovi aiuti militari. La riuscita della missione fu però turbata dalla sopravvenuta morte della moglie Beatrice.
Su una nave genovese G. approdò a Genova il 16 luglio seguito da un contingente di soldati castigliani; sostò in quella città a spese dei Comune e ivi contrasse un prestito che fu estinto sei mesi dopo: il mantenimento di un esercito e di una corte adeguata, nonché la necessità di frequenti viaggi, provocavano un continuo bisogno di denaro che non era sempre facile soddisfare. Nel settembre G. dovette intervenire per ristabilire la pace in Vercelli e quindi tornò a combattere a Lodi contro i Torriani senza troppo successo. Il 22 luglio i suoi domini si accrebbero con la dedizione del borgo di Biandrate che lo dichiarò vicario, podestà e signore. Continuava intanto l’attività amministrativa condotta a Milano in nome di G., definito nei documenti “dominus civitatis et districtus Mediolani “; di essa sono rimaste testimonianze del luglio 1280 e poi dei luglio, novembre e dicembre dei 1281. Né i suoi domini cessarono di crescere: nel marzo 1282 egli fu infatti proclamato capitano per dieci anni a Corno. In giugno iniziò una campagna contro Cremona in cui cercò prudentemente di évitare ogni scontro; anche quella guerra fu occasione di nuovi ingrandimenti poiché la sua signoria si estese su Crema e Soncino.
A Milano andava però maturando il dissidio con Ottone Visconti ormai desideroso di ristabilire il suo prestigio: il 25 agosto egli trattò direttamente la pace con Cremona, Piacenza e Brescia in lesione dei diritti che sarebbero spettati a G. come signore. D’altra parte questi fu impegnato in settembre per sedare nuovi sanguinosi contrasti scoppiati tra le fazioni alessandrine dei Lanzavecchia e dei Dal Pozzo; passò in seguito a Vercelli e, appunto mentre si trovava in questa città, il 27 dicembre Ottone Visconti destituì il podestà eletto in Milano da G. e diffidò quest’ultimo dal mettervi ancora piede; G. non ebbe per il momento modo di reagire alla brusca esautorazione.
Quasi a parziale compenso della perdita subita gli venne offerta il 26 genn. 1283 la signoria ereditaria su Alba e sul suo territorio, ma l’anno appena iniziato si annunciava burrascoso, da un lato per la crescente ostilità mostratagli da Asti e dal conte di Savoia, dall’altro per i contraccolpi dei fatti milanesi che mettevano in pericolo la sua signoria su Vercelli, Alessandria, Tortona e Como. Lasciando da parte quest’ultima città, G. combatté nel gennaio 1284 per ritogliere il castello di Mongrando ai fuorusciti vercellesi e per impadronirsi di Pontecurone divenuto rifugio dei dissidenti alessandrini; attaccò poi Tortona che venne però difesa dai Viscontei ormai schierati contro di lui, e per far loro fronte dovette quindi cercare l’alleanza dei Torriani.
Nel giugno di quell’anno accompagnò personalmente a Finalmarina la figlia undicenne Violante diretta a Costantinopoli per sposare l’imperatore Andronico Il Paleologo: portava in dote i diritti ancora vantati dagli Aleramici sul Regno di Tessaglia, in cambio della promessa di aiuti in uomini e in denaro.
Accordatosi con i fuorusciti di Tortona capeggiati dalla famiglia Montemerlo, il 30 Ottobre entrò in città di sorpresa uccidendo e incarcerando gli avversari. Lo stesso vescovo Melchiorre Bussetti, arrestato, ammise la sua complicità nella ribellione e il 9 novembre fu condotto nel contado perché inducesse alla resa gli ostinati difensori dei castelli vescovili; ma della scorta faceva parte il suo nemico personale Negro di Montemerlo che approfittò della circostanza per colpire a morte il vescovo. G. si affrettò a separare la sua responsabilità da quel grave fatto di sangue, ne fece arrestare gli autori e ordinò per l’ucciso solenni funerali cui partecipò portando egli stesso il feretro. Naturalmente l’avvenimento fu sfruttato dai suoi avversari: egli venne chiamato a Roma per discolparsi di fronte al papa, ma ne fu poi esentato per le difficoltà politiche in cui si trovava. Provata la sua estraneità al delitto, tuttavia scontò la colpa di aver imprigionato il vescovo sottoponendosi a numerosi atti di penitenza.
Stabilita il 10 genn. 1285 una tregua col conte di Savoia sempre minaccioso, G. nel febbraio era ad Alba, in aprile conquistò Borgo San Dalmazzo con Tommaso di Saluzzo; solo il Ticino in piena gli impedì poi di portare aiuto ai Torriani e ai Comaschi. Il 25 ottobre ristabilì la pace a Vercelli e vi riaffermò la sua signoria. Il 1286 fu un anno di tregua: il 3 aprile il Comune di Milano si impegnò a pagargli lo stipendio arretrato e gli permise il passaggio verso Corno a patto che non pernottasse sul territorio milanese. Nell’agosto ricevette in enfiteusi dal monastero di S. Mauro i diritti che questo ancora possedeva in valle di Lanzo allargando così il potere della sua casa in quella zona. Solo verso la fine dell’anno, e poi nei corso del successivo, gli avversari di G. si rafforzarono ricevendo l’adesione dei conte di Savoia e di Genova: l’accerchiamento dei suoi domini fu cosi quasi completo. Con un nuovo capovolgimento di alleanze egli cercò allora un appoggio esterno con il progetto di matrimonio – stabilito prima dei 26 sett. 1289 – tra il figlio Giovanni, allora undicenne, e Bianca, figlia di Carlo II d’Angiò; piano non malvisto da papa Niccolò IV che concesse la necessaria dispensa.
Fu G. stesso a fare la prima mossa contro i suoi avversari: intromettendosi nelle lotte intestine tra le fazioni, riuscì a rientrare nel giugno 1289 in Pavia, dove fu nominato capitano generale per 10 anni e poi – su proposta di Marifredo Beccaria – signore assoluto ed ereditario. Nel frattempo tramava segretamente per rimettere piede anche in Milano con la complicità dell’abate di S. Celso Bonifacio della Pusterla, ma il complotto fallì. I Milanesi risposero attaccando senza successo Pavia dove però Manfredo Beccaria passò nel campo avversario. G. assediò quindi il suo castello di Montù, nell’Oltrepò, ma i Piacentini intervenuti lo respinsero. Nel novembre anche Asti entrò nella già forte lega antimarchionale,
Dopo una scorreria condotta nel gennaio del 1290 in territorio piacentino, G. saccheggiò ripetutamente, in marzo e in maggio, l’Astigiano presto soccorso dal conte di Savoia. Nei mesi seguenti dovette quindi operare su due fronti rivolgendosi alternativamente contro gli Astigiani e i Sabaudi, che devastavano a loro volta il Monferrato e l’Alessandrino, e contro i Piacentini e loro alleati che minacciavano da vicino Pavia, respingendo gli attacchi degli uni e degli altri. Mentre combatteva in territorio milanese in difesa di Pavia una fazione del borgo di Vignale, corrotta dagli Astigiani con l’esborso di 10.000 fiorini d’oro, uccise il castellano monferrino che governava il luogo e il 20 agosto lo sottomise agli Astigiani i quali si impadronirono del grandioso padiglione marchionale ivi conservato asportandolo come trofeo di grande valore simbolico.
Poco dopo in Alessandria gli Astigiani corruppero la popolazione con la promessa di 85.000 fiorini d’oro e la predisposero a sollevarsi contro il marchese.
Le fonti che ricordano l’episodio non sono sempre concordi riguardo alla cronologia e allo svolgimento dei fatti, ma sarà certo da accettare quanto riferiscono le cronache più vicine nel tempo e nello spazio: avuto sentore della trama contro di lui, G. si presentò alle porte di Alessandria il 10 settembre per chiederne conto, i cittadini lo avrebbero rassicurato covincendolo a entrare in città accompagnato solo da una modesta scorta. Fu facile allora catturarlo. G. fu poi rinchiuso in una gabbia di legno dove fu costretto a passare il resto dei suoi giorni.
Della vasta compagine di città soggette al suo dominio gli rimasero fedeli solo i Comuni di Ivrea, Acqui e Casale, nonché i consanguinei conti di Biandrate e i marchesi di Saluzzo. Le terre dei Marchesato, pur difese dai suoi sudditi, subirono l’attacco dei Comuni di Alessandria e di Asti, di Matteo Visconti e del conte di Savoia. L’erede Giovanni fu inviato per sicurezza nel Marchesato di Saluzzo e poi presso Carlo II d’Angiò in Provenza.
G. morì dopo un anno e circa cinque mesi di prigionia in Alessandria il 6 febbr. 1292 forse per il dolore e l’avvilimento.
Il suo corpo, restituito ai sudditi, fu tumulaio nell’abbazia cistercense di S. Maria di Lucedio dove era già sepolto il padre: l’obituario lo ricorda come ” fundator huius monasterii “, appartenente cioè alla famiglia dei fondatori.
Nonostante la frenetica attività cui G. era costretto dai molteplici impegni politici e militari, non trascurò le terre del suo Marchesato: si adoperò, per esempio, nel 1287 per la definizione dei confini fra le Comunità di Gassino e di Castiglione Torinese; e nel 1282, mentre si trovava in Pavia, nominò i castellani di Vignale. Non particolarmente intenso fu invece, per quanto ne sappiamo, il suo interesse per le fondazioni religiose anche se dal 1256 al 1287 sono attestati suoi interventi in favore dei due monasteri di famiglia: le monache di S. Maria di Rocca delle Donne e i cistercensi di S. Maria di Lucedio; si conosce inoltre una salvaguardia concessa ai cistercensi di S. Maria di Casanova, presso Carmagnola, cui si aggiunge la conferma dei privilegi e delle donazioni fatte dal padre e dall’avo al monastero femminile di S. Maria di Brione, presso Torino.
Il cronista alessandrino G.A. Claro, scrivendo circa due secoli dopo i fatti, riteneva che i suoi concittadini non avessero agito saggiamente nei confronti di G. perché “il marchesato di Monferrato è dignità naturale che non può in alcun modo venire meno “, e i discendenti non avrebbero dimenticato l’offesa subita. G., peraltro, non aveva affatto inteso allargare il Marchesato includendovi le città sottoposte al suo dominio, ma si era sforzato di dare forma a un governo forte e stabile che superasse le lotte di fazione da cui erano allora dilaniati i Comuni cittadini; e se la costruzione, da lui messa in piedi con accorgimenti politici e attività di uomo di guerra, ebbe fondamenta troppo malferme per reggere a lungo, offrì comunque un modello che fu imitato dai signori successivi. I suoi rapporti con Manfredi, con Carlo d’Angiò, Alfonso di Castiglia e con Pietro d’Aragona gli assegnano comunque – come scrisse A. Bozzola -” un posto cospicuo nella vita italiana del secolo XIII “.
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