Bobba Ascanio
di V. Castronovo in Dizionario biografico degli italiani, Cfr. www.treccani.it
Nacque a Lu Monferrato il 5 marzo 1579 da Mario, feudatario di Terruggia e Rosignano. Il casato dei Bobba, già insigne ai tempi dei marchesi del Monferrato e passato quindi nel 1533 al servizio del duca Carlo III di Savoia, si era posto in luce durante il regno di Emanuele Filiberto con il cardinale Marco Antonio, rappresentante dell’episcopato piemontese al concilio tridentino, e successivamente sotto Carlo Emanuele I con Alberto, governatore di Nizza e gran scudiere del principe di Piemonte. Di quest’ultimo appunto (morto nel 1619) il B. doveva raccogliere integralmente la eredità sia sul piano patrimoniale, sia nelle dignità di corte. Introdotto a palazzo giovanissimo nel 1592 come paggio degli infanti e della duchessa Margherita, dopo esser subentrato nel dicembre 1600 nei feudi paterni in solido con in fratelli Marcantonio e Carlo, passò nel 1605 al servizio diretto dell’erede Vittorio Amedeo e sette anni dopo, nell’agosto 1612, fu nominato cavaliere di giustizia mauriziano. Erano gli anni in cui la corte di Torino, sotto la spinta della politica personalistica di Carlo Emanuele I, assurgeva fra i più attivi e sontuosi centri di vita aristocratica e di mecenatismo politico-culturale della penisola; e il B., segnalatosi nell’allestimento di apparati scenici e di caroselli e per certa prestanza e disinvoltura di cavaliere, aveva modo di entrare in rapporti di cordiale dimestichezza con il principe di Piemonte. Divenutone nel 1615 scudiero e gentiluomo di camera, lo seguì due anni dopo nella prima guerra del Monferrato, partecipando poi all’azione di sorpresa su Masserano e Crevacuore.
Da Alberto Bobba il B. ricevette per testamento nel 1619, con il titolo marchionale, i feudi di Graglia, Bianzè e Pollone; Carlo Emanuele I, che già gli aveva rimesso nel gennaio 1616 i censi sull'”università e gli uomini” di tre contadi del Biellese, gli conferiva a sua volta la commenda di S. Marco di Chivasso. Il favore ducale consentì al B. negli anni successivi di arrotondare e feudi ed entrate patrimoniali: alla donazione nell’ottobre 1620 di una cascina nei pressi di Alpignano, confiscata al colonnello Giacomo Allardo, seguivano nel 1621 la costituzione in dote per la moglie (la milanese Margherita de’ Bigli, dama d’onore delle infanti) di 7000 ducatoni, la ratifica del contratto di cessione da parte del fratello Marcantonio delle terre di Bussoleno e l’investitura del feudo di Sordevolo. Tra il 1626 e il 1627 il B. accrebbe ancora le sue fortune personali con l’acquisizione gratuita di una tenuta ad Alpignano e l’infeudazione della borgata e delle terre di San Genuario nei pressi di Crescentino e di Montaldo. Seppe quindi mettere a frutto i suoi nuovi possessi fondiari nel Vercellese, con l’introduzione della coltura del riso e il conseguimento di particolari privilegi per la libera tratta del prodotto.
Il coraggioso comportamento del B. durante l’impresa di Genova e nel corso della campagna difensiva contro gli Spagnoli gli aveva aperto nel frattempo la strada per una rapida carriera a corte. Assunta la direzione dell’artiglieria nell’assalto alla Pieve e nelle operazioni militari su Oneglia nella primavera del 1625, fu tra l’agosto e l’ottobre alla difesa della cittadella di Verrua e, con il compito di maresciallo generale di campo, partecipò alle ultime battute del conflitto nel Monferrato. Vittorio Amedeo I, salendo al trono alla fine del luglio 1630, lo chiamò nella cerchia dei consiglieri ducali con la carica di gran scudiere di Savoia. “Grand piémontais, homme fort et résolu et ayant des défiances italiennes” (così, in una relazione dell’ambasciatore francese a Torino d’Hémery al Richelieu), il B. si trovò in un primo momento, alla morte di Vittorio Amedeo I, a impersonare, con il marchese F. Simiana di Pianezza e il gesuita Pietro Monod, la corrente dei consiglieri ducali meno disposta a una politica di aperto avvicinamento alla Francia, se non aliena da simpatie principiste e filospagnole.
Il problema politico più importante era nei primi mesi del 1638 il rinnovo della scaduta lega di Rivoli del 1635. Nella seduta del 22 febbraio, mentre il conte Filippo d’Agliè riteneva che si dovesse accettare la stipulazione di un nuovo patto con la Francia sia pure entro limiti puramente difensivi, il B. appoggiò la linea del Monod, sostenitore della necessità di una maggiore cautela nel rinnovo del trattato e comunque contrario in linea di principio alla firma (come richiesta espressamente da Parigi) di un’alleanza a carattere offensivo. Precipitata successivamente la situazione con la messa al bando del Monod e il ripiegamento della reggente di fronte alle rudi pressioni del Richelieu, anche per il B. si profilava l’esigenza di una scelta inequivocabile fra i due schieramenti, ormai contrapposti e scesi a conflitto, dei madamisti e dei principisti. Sugli interessi patrimoniali di recente elezione concentrati sulle terre del Biellese e del Vercellese, le zone in cui più efficacemente aveva fatto presa la trama dei principi cognati nel reclutamento di seguaci e nella dedizione di singole comunità e in cui peraltro più vivo era il fermento per il recupero dei beni usurpati dalle nuove clientele feudali, finirono per avere la meglio i vincoli di dimestichezza personale del B. con Madama e il suo cabinet e la spinta più immediata dei benefici elargitigli sottobanco, nell’ambito della scoperta politica di lusinghe e di corruzione operata all’ultimo momento dal governo di Parigi nei confronti dell’alta nobiltà piemontese.
Alla commenda dei SS. Maurizio e Lazzaro si aggiunse, il 24 marzo 1638, la nomina a cavaliere dell’Ordine supremo dell’Annunziata, unitamente all’assunzione di incarichi di rilievo nell’organizzazione dell’esercito madamista. Mastro di campo generale nell’aprile del 1639, il B. fu chiamato a dirigere con il governatore di Torino l’estrema resistenza della capitale contro l’assedio ispano-principista. Venivano a cadere nel frattempo le residue riluttanze del B. e degli altri principali esponenti ducali nei confronti della convenzione, negoziata a Torino nel maggio 1639 dall’inviato straordinario del Richelieu con estrema dovizia di mezzi, per la consegna ai Francesi delle piazze di Carmagnola, Savigliano e Cherasco, in cambio della promessa del sussidio annuo di un milione. La ripresa dell’iniziativa militare da parte delle truppe del Longueville non poté impedire comunque nel luglio 1639 la caduta di Torino nelle mani del principe Tommaso, e il B. si rifugiò nella cittadella a capo delle superstiti forze madamiste. In quella circostanza la sua abitazione fu messa a sacco dai principisti e la famiglia dispersa. Accanto a Madama e con funzioni di primo piano tra le fila ormai assottigliate del vecchio Consiglio ducale il B. figura ancora in uno dei momenti più decisivi della guerra dinastica, quello della conferenza franco-sabauda di Grenoble del 28 settembre-4 ott. 1639, successivo alla “capitolazione di tregua” firmata il 14 agosto al Valentino. Era l’ultima occasione diplomatica che si offriva ai rappresentanti piemontesi per scongiurare il totale asservimento del paese a Parigi. In effetti con Ludovico e Filippo d’Agliè e con il San Maurizio, pure il B. si batté a fondo per la salvaguardia delle residue prospettive di autonomia dello Stato sabaudo: ma inutilmente, ché le imperiose richieste del Richelieu (presidio di Savoiardi e Lorenesi a Montmélian e introduzione di forze militari francesi nei passi strategici della Val d’Aosta e a Chambéry) finirono anche questa volta per far breccia su tutta la linea. Un ulteriore incarico gli fu affidato dalla reggente subito dopo la conclusione delle sfortunate trattative di Grenoble, quello di gran ciambellano dell’erede Carlo Emanuele II, ma il B. morì durante il viaggio di ritorno, a Chambéry il 2 apr. 1640.
Le sue spoglie vennero poi traslate alla Madonna degli Angeli a Torino nella cappella di famiglia. Sia dalla prima sia dalla seconda moglie (Caterina Inveraldi, dama d’onore della reggente e vedova del conte Camillo Taffini di Acceglio, sposata nel 1635) non aveva avuto figli. Alla morte della Inveraldi, nel 1647, i Taffini subentrarono nei feudi di Graglia, Pollone e Sordevolo; gli altri beni, escluse le terre di Bussoleno cedute nel 1633 al medico Francesco Fiocchetto, passarono al nipote Mario Vittorio Amedeo.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Sezione I, Lettere Particolari, B, mazzo 98; Ibid., Sezioni Riunite, Patenti Piemonte, registri 33, ff. 26, 111; 36, f. 239; 38, ff. 201, 249; 39, f. 409; 44, f 463; 45, f. 71; Controllo Finanze, registri 1622, ff. 242, 266; 1624, ff. 44, 190; 1625, f. 54; 1626, ff. 27, 31, 148; 1627, II, f. 60; 1628 in 1629, f. 88; 1630 in 1631, f. 68; 1631 in 1632, ff. 74 s.; 1632 in 1633, f. 235; 1635, f. 32; 1635 in 1636, ff. 75, 165; 1637, f. 41; 1638, I, ff. 121-123; 1638, II, f. 4; 1639, ff. 103 s.; Torino, Bibl. Reale, ms. 132 (14): Genealogia dei Bobba di Casale, C. Tenivelli, Biogr. piemontese, II, Torino 1785, p. 248; A. Peyron, Not. per servire alla storia della Reggenza, Torino 1866, p. 34; G. Claretta, Storia della reggenza di Cristina di Francia duchessa di Savoia, Torino 1869, I, pp. 220, 247, 259; II, pp. 500, 502, 553, 563; A. Manno, Il patriziato subalpino, II, Firenze 1906, p. 330; S. Foa, Vittorio Amedeo I, Torino 1930, pp. 122, 287; F. Guasco, Famiglie nobili alessandrine e monferrine, XII, Casale Monferrato 1945, ad vocem; G. Quazza, Guerra civile in Piemonte. 1637-1642, in Boll. stor. bibl. subalpino, LVII (1959), p. 293; LVIII (1960), pp. 8, II, 15, 21.