Cocconato Pietro

(Pietrino) di  A. A. Settia  in Dizionario biografico degli italiani, Cfr. www.treccani.it

 Figlio di Guido, che fu vicario regio a Parma, e quindi nipote abiatico dell’Alemanno fratello di Uberto, cardinale di S. Eustachio. Il suo nome compare per la prima volta, nella forma diminutiva Pietrino, il 29 marzo 1324, insieme con quelli dei fratelli Bonifacio, Uberteto, Guglielmo e Ottobono, in occasione di un’investitura di beni in Montaldo (oggi Roero) da parte del vescovo di Asti; a questa data doveva dunque aver raggiunto da poco la maggiore età, ciò che consente di collocarne la nascita ai primi del sec. XIV.
Gli stessi personaggi, con l’aggiunta di un sesto fratello, Giovanni, compaiono ancora insieme nel decennio successivo, sempre in connessione con le vicende dei loro beni di Montaldo, alienati definitivamente nel 1334 proprio dal C. su delega dei suoi fratelli. Non è da escludere che la vendita di quei possessi lontani venisse fatta in vista di incrementare quelli attorno a Cocconato di cui i medesimi fratelli vengono reinvestiti – insieme con i diritti di decima e il giuspatronato di tutte le chiese della pieve di Pino d’Asti – il 3 nov. 1328 dal vescovo di Vercelli.
Il passaggio del C. alla vita ecclesiastica non è attestato prima del 1335 allorché, in una lettera di papa Benedetto XII, risulta in possesso di un canonicato nella chiesa di Montfaucon, in diocesi di Reims; l’anno dopo in Chivasso egli sottoscrive infatti il testamento del marchese Teodoro I di Monferrato con l’appellativo di “canonico Remense”.

D’ora in poi il C. collezionerà prebende e canonicati in molte regioni d’Europa anche grazie alle intercessioni del marchese Giovanni II di Monferrato, del quale, in una lettera papale, il C. viene detto consanguineo. Più che di una vera e propria parentela – di cui manca ogni attestazione – si deve pensare alla stretta amicizia che nel terzo decennio del secolo lega i Cocconato al marchese, il quale, per esempio, è ospite nel 1340 del consortile in Cocconato stesso. Nel luglio del 1343 ad Avignone il C., insieme con altri della sua famiglia, è presente alla firma di una tregua sancita dal papa fra il marchese e i suoi avversari; nell’ottobre Giovanni di Monferrato chiede ed ottiene per il C. un canonicato nella Chiesa di Liegi nonostante le prebende che egli già gode a Reims, a Spira e nella diocesi di Verdun. Del 1347 è un’altra intercessione del marchese presso Clemente VI per la concessione di canonicati e prebende a Losanna e a San Giovanni di Moriana; nel frattempo il C. continua ad essere compartecipe nei beni familiari come appare da una conferma di diritti ottenuta nel 1348 dal fratello Giovanni anche a suo nome. Nel 1349 egli, presente ad atti importanti redatti a Ciriè e ad Asti, risulta canonico di quest’ultima cattedrale. Quattro anni più tardi entrò nella familia del cardinale Pittavino di Montesquieu, vescovo di Albi, di cui è domestico e “commensale continuo”; è costui ora a supplicare Innocenzo VI perché siano assegnati al C. nuovi benefici nella Chiesa di Metz nonostante i canonicati e le prebende che già possiede a Reims, ad Asti, a San Giovanni di Moriana, Liegi e nella pieve di Sant’Albano Vercellese, tutti di non grande reddito, si deve credere, poiché quando, per decreto papale del 20 febbr. 1355 viene eletto vescovo di Piacenza, egli dovette farsi prestare dal nipote Abellone i duecento fiorini d’oro necessari per pagare alla Camera papale la consacrazione; somma che il C. non sarà mai più in grado di restituire al nipote.

La presa di possesso della cattedra piacentina non dovette essere immediata; la prebenda di Metz risulterà infatti vacante solo nel novembre del 1355, mentre il primo atto del C. come vescovo è del 18 dicembre di quell’anno: con esso nominava vicario diocesano frate Bartolomeo di Cocconato, suo parente, poi sostituito da un Guido Corradi da Trino (Vercelli). Segno questo che il neovescovo amava scegliersi collaboratori di provenienza subalpina; tali saranno, infatti, anche i notai Bartolomeo de Simonis di Tonco (Asti) e Raimondo di Cereseto (Alessandria) attivi al suo fianco insieme con il cappellano Giacomo di Cereseto.

L’attività episcopale del C. si svolge fra angustie e problemi tipici di un periodo di grande crisi qual è sotto ogni aspetto la seconda metà del Trecento: le popolazioni della diocesi tendono a sottrarsi al pagamento della decima; gli enti ecclesiastici indebitati – anche per le frequenti e pesanti taglie imposte dai Visconti signori della città – vedono smembrati e alienati i loro patrimoni fondiari; le pestilenze e le azioni belliche ricorrenti decimano il clero e spopolano le campagne richiedendo interventi sull’organizzazione pastorale della diocesi, mentre il continuo passaggio di soldataglia provoca lo spostamento in città dei monasteri suburbani.

Queste sono le questioni di cui il C. deve più frequentemente occuparsi lungo tutti i diciotto anni del suo pontificato. Trova nondimeno il tempo di approvare nel 1360 nuovi statuti per i canonici della sua cattedrale, poi rinnovati nel 1366 insieme con quelli dei canonici di S. Antonino; rimuove dal loro posto religiosi “scandalosi e indegni”, divulga nel 1362 l’indulgenza concessa dal papa a chi visita l’ospedale di S. Giacomo. La sua attività pastorale non gli impedisce di attendere anche agli interessi familiari che lo portano, nella quaresima del 1364, a compiere un viaggio “verso il paese nativo del Monferrato” (così il Campi).
Dal 1369, presentendo forse la fine non lontana, la sua azione pastorale sembra intensificarsi: istituisce nella cattedrale, con propria dote di beni e di reliquie preziose, una prebenda canonicale intitolata a S. Lucia, dando così impulso ad una devozione popolare che avrà seguito in Piacenza anche nei secoli futuri. Rivolta alla sensibilità religiosa del popolo è anche una “divota processione” alla tomba di S. Antonino voluta dal C. nel 1371 riuscendo così ad ottenere la pioggia desiderata. Già “infermo e di natura malsano”, il suo male, di cui ignoriamo la natura, si era accentuato con l’età. Un duro colpo gli reca nel marzo 1372 la notizia della morte di Giovanni di Monferrato, colui che lo aveva seguito e raccomandato nella carriera ecclesiastica e al quale era rimasto evidentemente legato nonostante la rottura avvenuta tra la sua famiglia e il marchese nel 1368. Nel testamento redatto il 29 apr. 1372 si dichiara debitore, oltre che verso il nipote Abellone e nei riguardi della Camera apostolica (per cui era stato collettore della decima), anche verso la servitù rimasta a lungo senza salario, e nei confronti di un mercante di panni della città. I debiti dovevano essere pagati attingendo ai beni vescovili, ai crediti verso il clero e a lasciti di devoti.
Il C., “senex et plenus dierum” (aveva probabilmente raggiunto la settantina), viene a morte, probabilmente a Piacenza, il 13 maggio del 1372. Del suo sepolcro posto in cattedrale, nella cappella di S. Lucia, non rimangono oggi che frammenti, ma il Campi, che lo vide nel XVII secolo ancora integro, lo dice costituito “da un’arca lavorata all’antica”, sulla quale spiccavano “quattro pastorali di rilievo e una croce nel mezzo, e l’arma duplicata di sua famiglia che usava portare un’aquila in piedi con l’ale distese”.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Sezione I, Monferrato Feudi, marzo 26, Cocconato, n. 4; Torino, Bibl. reale, ms. Storia patria 325, cc. 205r-207v; B. Sangiorgio, Cronica [di Monferrato], a cura di G. Vernazza, Torino 1780, pp. 124, 155, 199-204; F. Cerasoli-F. Gabotto, Append. alla memoriaClemente VI e casa Savoia“. Nuovi documenti, in Miscell. di storia ital., XXXVI (1900), pp. 165 ss.; Benoît XII, Lettres communes analysées, a cura di F. M. Vidal, I, Paris 1903, n. 936; IlLibro verdedella chiesa d’Asti, a cura di G. Assandria, Pinerolo 1904-1907, docc. 5762, 65, 93-99; Suppliques de Clément VI(1342-1352), a cura di U. Berlière, in Analecta VaticanoBelgica, I (1906), nn. 253, 1280; Suppliques d’Innocent VI(1352-1362), a cura di U. Berlière, ibid., V (1911), nn. 31, 740; Lettres de Clément VI(1342-1352), a cura di P. van Jacker-U. Berlière, ibid., VI (1924), n. 553; P. M. Campi, Dell’historia ecclesiastica di Piacenza, III, Piacenza 1652, pp. 109-40; F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra, II, Venetiis 1717, col. 229; A. Bosio, Storia dell’antica abbazia e santuario di Nostra Signora di Vezzolano, Torino 1872, pp. 233 ss.