“LA CONGIURA CAPELLO”

Negli anni ’70 del XX secolo, nel quadro di una sua paziente opera di riordinamento e riscrittura di documenti di famiglia, mio padre dattiloscrisse in tre copie un manoscritto, temporaneamente avuto in visione, relativo alla “congiura Capello”, episodio drammatico sviluppatosi a Casale negli anni dal 1567 al 1571 a seguito del passaggio del Monferrato dalla signoria dei Paleologo a quella dei Gonzaga.
Il manoscritto non è datato, ma da alcuni riferimenti del testo e dallo stile adottato la sua stesura parve a mio padre riconducibile ai primi anni del XX secolo. Esso si divide in tre parti: nella prima il lettore viene introdotto nell’ambiente della vicenda, vi sono descritte le condizioni del marchesato e si parla dell’assassinio di Olivero Capello, l’ispiratore della congiura. Nella seconda parte sono trascritti i verbali degli interrogatori dei congiurati con la descrizione delle torture inflitte. Nella terza parte infine vengono narrate le conclusioni del processo e si parla diffusamente della prigionia e della morte di Flaminio Paleologo, figlio naturale di Gian Giorgio (ultimo marchese regnante di stirpe paleologa).
Quali le fonti di questo manoscritto? Per le parti prima e terza le note opere storiche (alcune delle quali riportate in bibliografia) e gli archivi esistenti in Casale. Per la parte seconda – la più inconsueta – l’autore poté consultare e trascrivere gli stessi verbali originali del processo, ancor oggi conservati presso l’archivio del vescovado di Casale . Si tratta di documenti ingialliti dal tempo e di difficile lettura in quanto redatti nel linguaggio curiale dell’epoca.
Mio padre non conosceva l’autore del manoscritto da lui ricopiato, Carlo Eugenio Del Carretto (certo, dal nome, appartenente a nobile famiglia monferrina di sangue aleramico, tutt’oggi fiorente in varie linee), né lo scopo che lo aveva spinto a scrivere quest’opera né infine perché la stessa non sia mai stata pubblicata. Moltiplicandone gli esemplari intendeva garantirne una più facile sopravvivenza e una maggior diffusione in ambito familiare.
A mia volta ho ritenuto ora di riprendere tale lavoro con l’intento di darlo alle stampe per ricordare l’episodio e i suoi protagonisti con una più ampia diffusione.
Mio padre aveva notato una certa irregolarità, molte ripetizioni e una scarsa scorrevolezza nel testo del manoscritto (attribuendole al fatto che, probabilmente, le intenzioni dell’autore erano di rivederlo in un secondo momento) ma aveva ritenuto di copiarlo senza cambiamenti. Dopo averne preso visione io ho invece preferito apportarvi diversi profondi rimaneggiamenti al fine di adeguare il testo al linguaggio contemporaneo e di conferirgli maggior leggibilità e comprensibilità. Ho eliminato molte parti ridondanti o di non stretta pertinenza con la vicenda in esame e quelle dalle quali più traspare un’evidente partigianeria favorevole ai congiurati e un’animosità che non può trovar posto in un testo storico.
Prima di iniziare il racconto ho inserito le sintetiche biografie dei personaggi principali e una cronologia degli avvenimenti narrati e di quelli che vi hanno fatto da sfondo, in modo che il lettore possa farsi un’idea di ciascun protagonista e meglio comprendere la vicenda di cui si parla, più facilmente inquadrando il periodo storico e il concatenarsi dei fatti.
Ho inoltre integrato il racconto originale con notizie ricavate da altre fonti richiamate in bibliografia; tra esse debbo soprattutto menzionare il corposo e pregevole lavoro del Di Ricaldone (il quale pare anch’egli essersi avvalso, per non pochi passaggi, del medesimo manoscritto).
Prima delle appendici ho inserito alcune considerazioni conclusive, per cercare di tirare le somme dell’intera vicenda in maniera per quanto possibile obiettiva.
Per quanto riguarda la struttura dell’opera, ho deciso di eliminare la suddivisione in tre parti per adottare in sua vece una ripartizione in capitoli, più adatta ad un razionale sviluppo della storia.
La seconda parte del manoscritto (relativa agli interrogatori), di indubbio interesse ma non strettamente connessa agli sviluppi della narrazione, è divenuta un’appendice.
La terza parte del manoscritto (epilogo della congiura e fine di Flaminio Paleologo) è divenuta una seconda appendice; da essa traspare una evidente partigianeria dello scrittore per Casale.
Ho lasciato i testi di queste due appendici inalterati rispetto a quanto trovato (ho solo eliminato alcune brevi parti gonfie di retorica, ripetitive e inutili all’economia della storia).
Lo stile con il quale sono trascritti gli interrogatori (sicuramente molto diverso da quello del XVI secolo) fa ritenere che il manoscritto, pur basato sui documenti originali di cui si è detto, sia stato dal Del Carretto ampiamente rimaneggiato e adattato al linguaggio del tempo in cui egli scriveva (appunto gli inizi del XX secolo). Inoltre la fraseologia, la punteggiatura e la sintassi (da me, come detto, lasciate inalterate rispetto all’originale) sono spesso scorrette e non aiutano la comprensione. Pare poi, dalla ricchezza di alcuni particolari degli interrogatori (particolari che è difficile pensare possano essere stati trovati nei relativi verbali), che l’autore si sia sbilanciato a “ricamare”, almeno in parte, la cronaca degli interrogatori stessi, arricchendola con considerazioni e osservazioni personali che poco hanno a che fare con l’obiettività richiesta ad uno storico. Inoltre si direbbe che manchino alcune informazioni (come se la loro conoscenza fosse scontata, cosa che non è) e che i verbali citati non siano tutti quelli relativi al processo (troppo lungo infatti appare, in molti casi, l’intervallo temporale tra un interrogatorio e l’altro, il che fa supporre che qualche parte sia stata omessa o non trovata, cosa che del resto pare anche confermata dai vuoti che risultano nella narrazione degli eventi). Queste limitazioni non inficiano, a mio parere, l’interesse documentaristico per questa parte, che risulta utile per capire le modalità di svolgimento di un’inchiesta giudiziaria di quei tempi.
Altro particolare degno d’interesse è che, a quanto pare, la custodia nelle carceri non era poi così rigida come ci si potrebbe aspettare, dato che i prigionieri potevano facilmente scambiare tra loro e con l’esterno lettere e biglietti vari. Anche il tentativo di evasione dei condannati, parzialmente riuscito, dimostra che la vigilanza sui prigionieri presentava non poche lacune.
In definitiva quella che ho scritto è un’opera sostanzialmente diversa dal manoscritto originale, ma ritengo più completa, più rigorosa nei confronti della verità storica, più obiettiva e più leggibile: spero possa contribuire a gettare un po’ di luce su un episodio tipico di un’epoca in cui si andavano formando i moderni stati assoluti.

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