Cassini Samuele

(De Cassinis, Sainuel Cassinensis) di R. Ristori in Dizionario biografico degli italiani, Cfr. www.treccani.it

 

 

Nacque in una località del Monferrato, probabilmente intomo alla metà del sec. XV.
Non è chiaro se il termine “Cassinensis” sia riferibile al cognome della famiglia o al luogo di origine, che potrebbe essere stato il borgo e castello di Cassine (Cassinae), presso Alessandria. Non sappiamo se egli appartenesse a quella nobile famiglia che, secondo G. Casalis (Dizionario geograficostoricodegli Stati di S. M. il Re di Sardegna, IV, Torino 1837, p. 50), risiedeva appunto in Cassine e ne portava il nome.
Non conosciamo il nome di battesimo che il C. lasciò entrando fra i minori osservanti della provincia di Genova. Per ciò che riguarda i suoi studi, sappiamo che, dopo essersi fatto in Italia una buona preparazione nelle discipline letterarie, fu inviato a Parigi per acquistare in quella università più approfondite -conoscenze di filosofia e di teologia. Fu professore in Francia e in Italia, probabilmente nelle scuole del suo Ordine, e, per quello che siamo in grado di arguire dalle scarsissime notizie biografiche che abbiamo su di lui, nel periodo della maturità e della maggiore attività intellettuale visse in Piemonte e a Milano. È stato spesso citato, erroneamente, fra gli scrittori della Liguria per la sua appartenenza alla provincia ligure dei minori osservanti.
Ebbe fama di Profondo conoscitore della filosofia aristotelica (“apprime versatus in doctrina peripatetica Aristotelis” lo dice il Wadding, Annales Minorum, p. 191), ma produsse opere di modesta levatura e che non ebbero particolare risonanza. Accanto a questi interessi per la filosofia, si mostrò sempre viva in lui una singolare disposizione a prender parte alle polemiche che, su vari argomenti, erano allora in corso fra il suo Ordine e i domenicani.
Intorno al 1493 ritornò dalla Francia in Italia, e nell’anno successivo venne pubblicato a Milano, a cura di Francesco Ruero, un suo manuale di filosofia e di teologia che ebbe qualche notorietà e godette, sembra, molto favore fra gli studenti ai quali era destinato (Liber ysagogicus in apices Scoti theologorum principis, necnon ad investiganda Aristotelis profunda logicalia, Mediolani [Uldericus Scinzenzeler] 22 aprilis 1494).
Questa breve opera, strettamente legata all’esperienza didattica dell’autore, è preceduta da una lettera dedicatoria del Ruero a Gabriele da Pirovano, medico del duca di Milano, e da un proemio dal quale risulta che il C. risiedeva allora in quella città, nel convento di S. Angelo nel sobborgo di porta Nuova.
Nel 1495 il C. era ancora a Milano e preparava l’edizione delle Formalitates del Burlifer che avrebbe pubblicato, corredate di un suo commento, l’anno successivo (Magistri Stephani Burlifer doctoris parisiensisformalitates cum argumentationibus ad eas, Mediolani [Uldericus Scinzenzeler] 1496, quinto kal. februarii).
Ma più che per le sue opere di filosofia e di teologia, oggi completamente dimenticate ed anche difficilmente reperibili, il C. è ricordato dagli storici modemi per gli attacchi mossi al Savonarola con due libelli nei quali manifestò la sua avversione al profetismo e alle aspirazioni verso la riforma della Chiesa. Nel 1497 rispose in termini di violenta polemica al Compendio di revelatione, pubblicato per la prima volta dal frate ferrarese nell’agosto del 1495 (Firenze, Francesco Bonaccorsi), con un opuscolo noto come Invectiva in prophetiam fratris Rieronymi ma il cui vero titolo è De modo discernendi falsum prophetam a vero propheta, inter reprobandum falsam prophetiam atque visionem fratris Rieronymi (Mediolani [Uldericus Scinzenzeler] primo aprilis 1497).
In questo libello, al quale premetteva un’acre lettera dove accusava l’avversario di essere stato sedotto da Satana, il C. negava ogni validità alle profezie savonaroliane e sosteneva con veemenza che la predicazione del frate ferrarese, oltre che piena di false affermazioni, era pericolosa per gli effetti che poteva avere sulle menti degli ignari e degli ingenui. Come frate Angelo da Vallombrosa, che in quegli anni manifestava idee analoghe in alcune lettere molto polemiche, il C. voleva dimostrare la inesistenza proprio di quelle qualità profetiche che avevano dato fama, al Savonarola. Si deve pensare che questo scritto venisse diffuso anche per appoggiare la politica antifiorentina e antisavonaroliana di Lodovico il Moro, ma il fondamento più profondo dell’opera del C. è forse da collocare nel contesto delle ricorrenti e accanite controversie di quegli anni fra francescani e domenicani. Al centro della disputa erano le aspirazioni savonaroliane verso la riforma della Chiesa, e contro di esse il C. manifestava, nell’Invectiva, la sua decisa avversione in termini duramente critici.
L’Invectiva del C. fu pubblicata in un momento assai difficile per il Savonarola, che di lì a poco, il 18 giugno 1497, sarebbe stato scomunicato dal papa Alessandro VI sotto l’accusa di avere predicato dottrine eretiche. Dovette suscitare qualche scalpore, se ad essa rispose un personaggio di rilievo come Giovan Francesco Pico della Mirandola con la Defensio Hieronymi Savonarolae Ferranensis, Ordinis Praedicatorum, adversus Samuelem Cassinensem [Firenze, Bartolomeo de’ Libri, s.d.]. La Defensio del Pico, scritta in forma di lettera a Girolamo Tornielli, vicario per l’Italia settentrionale del generale dei francescani, ribatteva in tono appassionato, ed anche con accenti sprezzanti, alle argomentazioni del C., che accusava di essersi accanito con insinuazioni calunniose e arbitrarie contro un innocente e di avversare ogni idea di riforma per mancanza di fervore religioso. Il Pico osservava perfino di non saper bene se il C. meritasse, per gli errori del suo scritto, cominiserazione più che condanna.
Al Pico il C. rispose pubblicando la Reseratio atque clarificatio falsarum solutionum ad argumenta Samuelis Cassinensis que facta júerunt in falsam prophetiam Hieronymi Ferrariensis (Mediolani [Uldericus Scinzenzeler] mense maio 1498). Il C. dedicava questo libello ad Alessandro VI con una lettera piena di espressioni di pia deferenza, e non è senza significato la circostanza che la pubblicazione di questo scritto (che l’autore diceva di avere steso nel settembre 1497)fosse stata preparata proprio mentre si avvicinava alla conclusione la lotta che avrebbe visto la vittoria degli avversari del Savonarola. Al di là dei temi e dei limiti della polemica con il Pico, la Reseratio fu con ogni probabilità una mossa con la quale il C. si affiancava di proposito a quegli ambienti che, in appoggio alla politica papale, attaccavano il frate ferrarese. E il libello uscì proprio nello stesso mese in cui questi fu condannato e giustiziato.
Sempre nel maggio 1498 il C. pubblicò un opuscolo di argomento filosofico, scritto ad Acqui l’anno precedente, dedicandolo al duca Lodovico il Moro (Quaestio de immortalitate animae, Mediolani [Uldericus Scinzenzeler] mense maio 1498). Dopo qualche anno, nel 1505, dette alle stampe, forse a Pavia, un’opera (la Quaestio lamiarum) nella quale cercava di dimostrare, nello stile scolastico denso delle argomentazioni dialettiche che gli erano consuete, che le streghe non avevano i poteri sovrannaturali ad esse talvolta attribuiti, perché non era concepibile che Dio permettesse l’esistenza di eventi miracolosi a fini non buoni.
Alla Quaestio lamiarum rispose il domenicano Vincenzo Dodo con una Apologia contra li defensori delle strie, et principaliter contra Quaestiones lamiarum fratris Samuelis de Cassinis (stampata a Pavia nel 1506 e poi a Rouen nel 1510 secondo il Lea, I, p. 367). In questo scritto, fortemente polemico, il Dodo diceva di avere invitato ad un dibattito nella università di Pavia il C., che in un primo tempo avrebbe accettato la sfida e poi si sarebbe ritirato per paura.
A questi anni apparterrebbero anche due opere inedite (la Quaestio disputata in Universitate Ticinensi circa Ioannis Evangelistae consanguinitatem cum Christo Domino e la Apologia pro Nicolao de Lyra contra Ioannem Viterbiensein Ordinis Praedicatorum)che, secondo notizie dell’Argelati (II, 2, col. 1973)non confermate da più recenti testimonianze, nel sec. XVIII si conservavano “in bibliotheca Montis Alverniae”, cioè presso il convento francescano della Verna. Nel 1506 o nel 1507 il C. avrebbe stampato a Milano, presso il tipografo Scinzenzeler, la Secunda argumentatio contra Magistrum Damianum Ordinis Praedicatorum de eo quod nititur sustinere Deus est consanguineus.
Pubblicò alcune opere per le quali si hanno notizie certe fra il 1506 e il 1510 (Ars evadendi omne sophisticum, Papiae 1506; De stigmatibus sacris D. Francisci et quomodo impossibile est aliquam mulierem, licet sanctissimam, recipere stigmata, ibid. 1508; Expositio triplex librorum octo phisicorum Aristotelis, quarum prima est textualis, secunda construit textum, tertia elicit propositiones de textu, Cunei 1510). La Expositio triplex è preceduta da una interessante lettera nella quale il C. dedica la sua opera alla università di Parigi, con parole di grande ammirazione e ricordando con gratitudine gli studi che vi aveva fatto quando aveva già superato la prima giovinezza (“virili iam aetate florens et aliquid literarum. nactus in Italia”).
L’ultimo scritto noto del C. è un opuscolo polemico contro i Valdesi dedicato al cardinale di S. Croce Bernardino Carvajal (Cum privilegio Sabaudie. De statu ecclesie. De purgatorio. De suffragiis defunctorum. De corpore Christi. Libellus contra Valdenses, qui hec omnia negant, Cunei 1510), ove si conferma la sua posizione di rigido difensore dell’ortodossia e del principio dell’autorità pontificia.
Non abbiamo notizie su. di lui per il periodo successivo al 1510 e non conosciamo la data della sua morte.
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